Il Parco del Valentino: la location ideale- by E. Raspi

Oggi una fitta selva di antenne: l’ossatura enorme, che si profila sulle delicate armonie de’ grigi della collina, assorta nel letargo invernale; la pianta nuda, severa e triste delle forme ischeletrite. Domani una gloria di orifiamme sventolanti lietamente al sole; l’ossatura rivestita di muscoli rigorosi, per entro i quali fluisce la vita di venti nazioni; la gioia spensierata delle frondi e dei canti.

“Una fitta selva di antenne”, ecco quello che doveva sembrare o, meglio, quello che gli ideatori della fiera si auspicavano fosse l’intero complesso espositivo di Torino 1911, con i suoi cento padiglioni e varie strutture distesi lungo il Parco del Valentino. Un incontro e una simbiosi di natura e acciaio in perfetta sintonia con le poetiche letterarie moderniste e lo spirito “travolgente” di inizio Novecento, laddove l’elemento floreale interpretato nel Liberty andava ad incontrare la forza del ferro e delle nuove tecnologie.

Come vediamo dalla citazione iniziale, la celebrazione di questo incontro si riscontra nel primo numero del Giornale ufficiale illustrato dell’Esposizione Internazionale delle industrie e del lavoro del 1910, totalmente dedicato alla storia, descrizione ed esaltazione del parco urbano torinese. L'articolo ne parla come il vero cuore pulsante della città e motivo di grande vanto per tutta la popolazione, e l’autore non nasconde l’emozione – e l’orgoglio - nel raccontare come, nonostante l’effettiva realizzazione del Parco sia recente (XIX secolo), il nome abbia un’antica origine.

In occasione dell'Esposizione Internazionale del 1911, si decise, quindi, di sfruttare ancora una volta la complessità dell’ambiente naturale, ora riorganizzando i giardini e i viali, ora trasformando metaforicamente il corso del fiume Po da semplice cornice ad attrazione in sé per sé. Si pensi, ad esempio, all’effetto che la Fontana Monumentale o il Ponte Monumentale dovevano suscitare nel visitatore, specialmente di notte, quando le luci artificiali, insieme con quelle naturali, creavano lunghe ombre e si riflettevano ondeggiando sull’acqua. Un ponte imperiale nei suoi dettagli scultorei che, come altre strutture di passaggio, venne costruito proprio per questa occasione e che più di altri si inseriva armoniosamente nel quadro architettonico dei padiglioni. Inoltre, un ponte per stringere ancor più, fisicamente e metaforicamente, il legame tra le due sponde del fiume, con lo scopo, in un certo qual senso, di convertire una barriera naturale in elemento integrante dell’Esposizione, esattamente al centro, costantemente presente lungo il percorso e facile da attraversare.

Del resto, come si potrebbe facilmente intuire, l'idea di unire fisicamente e concettualmente il parco urbano con l'evento espositivo non è prerogativa dell'Esposizione del 1911, nonostante in questa occasione si siano sentiti maggiormente il bisogno di una grande celebrazione e di un intervento sulla natura, grazie alla presenza – e contemporaneo sfoggio – delle nuove tecnologie. Le Esposizioni del 1884, 1898 e 1902 avevano trovato anch'esse sede ideale in questo ambiente, così come le precedenti e contemporanee esposizioni europee ed americane avevano fatto nei corrispettivi parchi urbani. Infatti, le origini del Valentino, così come lo possiamo vedere oggi, risalgono al secolo diciannovesivo, precisamente ai decenni 1850-1870: Torino, proprio in quel momento storico, si stava accingendo a divenire una delle principali capitali europee (e future italiane) a livello industriale e culturale, e a confermare le proprie vitalità e posizione di prestigio conquistate nei secoli precedenti.

La costruzione o, meglio, la decisione di trasformare uno spazio privato – reale - in un parco pubblico ad uso dell’intera cittadinanza, rientrava a pieno in questo processo di ampliamento e ripensamento sulla propria struttura urbana ottocentesca. Rispondeva, quindi, non esclusivamente ad una necessità estetica, ma bensì ad esigenze demografiche e in particolare politiche, laddove diventava strumento e simbolo della classe borghese emergente, e della Casa reale sabauda, allora dirigente. Inoltre, come si accennava, tale intervento deve essere interpretato alla luce di altri interventi europei di quel momento quali, ad esempio, il Regent’s Park e il Victoria Park di Londra e il Bois de Boulogne di Parigi, per il loro rapporto intrinseco con la città. Infatti, spinti da motivazioni pratiche, ma anche ideali positivisti, i governi sentivano l'esigenza di creare un luogo dove i cittadini potessero spendere il proprio tempo libero e godere del paesaggio naturale.

In tal senso, lo spazio stesso del parco si potrebbe concepire come un hortus conclusus, ovvero un luogo, pertanto, protetto, dedito al piacere e al riposo, dove la manipolazione dell'uomo doveva apparire minima. La costruzione stessa dello spazio, però, è altresì artificiale, esaltazione stessa dell'intelletto, in quanto creato e delimitato dall'uomo stesso: non si tratta di natura incontaminata e senza regole, ma di natura progettata per rispondere ad esigenze istintive ed intellettuali del proprio creatore. Pertanto, il luogo diviene, fin dal suo concepimento, sia occasione di svago e strumento di riscatto per le classi meno adagiate, sia specchio delle regole di bon ton e della vita della classe borghese: il parco, nella sua eleganza e spaziosità, si presenta luogo ideale per lunghe passeggiate, giochi all'aperto o colazioni sull'erba e, in generale, vetrina dove mettersi in mostra agli occhi degli altri. Uno spazio, quindi, fuori dalla routine quotidiana, dove potersi sentire liberi, partecipare eventualmente ad eventi mondani e all'occasione nascondersi da occhi indiscreti.

Tutto questo ci permette di vedere il parco soprattutto come un luogo ambiguo, laddove sia specchio di regole sociali ben definite e, allo stesso tempo, strumento di trasgressione di queste stesse regole. Facendo un passo avanti, ci rendiamo conto che le Esibizioni Internazionali, con la loro personalità eccentrica, amante di tutto ciò che può essere definito esotico e trasgressivo, hanno eletto proprio il parco come area di accoglienza. Ancora una volta, tale decisione non appare dettata da casualità o mera praticità, ma piuttosto da una precisa linea direzionale: tali eventi, infatti, sembrano portare a compimento dei germi che sono già presenti nel parco stesso, quali affermazione del proprio status e potere, esibizionismo ed esaltazione della bellezza, trasgressione e scandalo.